lunedì 16 dicembre 2013

Napoli-Inter: il day after

Cinque gol al quarantacinquesimo dicono tutto o quasi a chi mastica di calcio. Raccontano di una partita folle, giocata su spartiti assolutamente nuovi per il calcio italiano. Ovvero, difese ballerine e attacchi pirotecnici. Ma quel quasi ha un preciso perchè: si può parlare di terze linee in difficoltà per ambedue le squadre, ma non di prime linee di alto livello in entrambe le compagini. I gol del Napoli nascono dalla bravura dei suoi avanti: quella di Higuain nello sfruttare un'indecisione in disimpegno di Nagatomo, quella eccezionale degli interscambi Mertens-Dzemaili sui due gol del finale di tempo, ed infine quella di Insigne e Callejon a pochi minuti dal novantesimo. I gol dell'Inter, invece, sono veri e propri autogol azzurri, con Guarin fatto passare come un ospite di riguardo sul tappeto rosso e Cambiasso e Nagatomo completamente dimenticati in mezzo all'area.

Errori imperdonabili, di solito, nel nostro campionato. Ma ci ha pensato Mazzarri, con le sue scellerate scelte, a sdoganare la storica severità del nostro campionato verso chi sgarra in difesa. Ovvero, la triste storia vissuta dal Napoli contro Parma e Udinese. Proprio il prode Walter, l'uomo di difesa strenua e contropiede mortifero, che torna a Napoli tra i fischi degli ex sostenitori e si porta a casa un sacco con quattro gol dentro. I motivi di questa debacle? I classici, soliti limiti dell'ex allenatore azzurro: incapacità di variazioni sul modulo e sul modo di giocare, testardaggine a livelli cosmici nel non schierare un secondo attaccante, centrocampo folto ma senza calciatori in grado di sorreggere Cambiasso e la costruzione di gioco. Alias, la stessa cosa.

Il Napoli ha saputo andare a nozze con la pessima partita dei nerazzurri, affondando a folate come la lama nel burro e offrendo la consueta sensazione di imponenza offensiva e impotenza difensiva. Una caratteristica innata alla squadra, correggibile solo con un mercato grandi firme tra mediana e difesa. Dal punto di vista mentale, ottima risposta e continuità di grinta rispetto al capolavoro contro l'Arsenal. niente contraccolpo psicologico e spauracchio-Mazzarri restituito al mittente, con una vittoria che riconsolida il terzo posto e vuole essere ancora un segnale chiaro al campionato, alla piazza e soprattutto al presidente. Questa squadra c'è, e dirà la sua fino a quando i fattori pazzi del calcio non faranno calare la mannaia. E parliamo di infortuni o periodi di calo fisico. Per ovviare a queste eventualità, occorrono uomini al mercato. Uomini in grado di aumentare il tasso tecnico lì dove è più deficitario, ovvero difesa e centrocampo. Fatto questo e fatto bene, Benitez & co. faranno ancora sognare. Garantito.

mercoledì 11 dicembre 2013

Voglio che Il Napoli arrivi al sesto posto in campionato!

Avviso ai naviganti. Se siete scettici su tecnico e squadra azzurri, non proseguite nella lettura. Non vi conviene. Perché già il titolo dice tanto. E aggiungiamo che non è una provocazione, ma una richiesta ponderata alla sorte, una cosa seria, una volontà reale.

Il Napoli è uscito dalla Champions.Cosa dire o fare? Noi proviamo a fare un salto difficile, molto più che lungo o nel vuoto, più che triplo. Saltiamo a piè pari la retorica sul record di punti per una squadra eliminata, le comprensibili sviolinate all'amore già viscerale di Higuain per la sua maglia e la sua gente, i rammarichi per autogol sfortunati o partite affrontate in difetto di idee, ossigeno o interpreti. Saltiamo anche l'esibizione da Oscar con l'Arsenal, la sagacia tattica e tecnica di una squadra in grado di accendere e spegnere partita ed avversari, e che avversari, a proprio piacimento. Saltiamo il presente e parliamo di futuro. Un futuro che vogliamo sia nefasto.

Perché quest'atteggiamento? Per amore e intelligenza. Perché il Napoli deve imparare a fidarsi, a non piegarsi sotto il peso dei risultati o delle voci della strada. Il Napoli deve superare la sua provenienza geografica, quella nazionalità italiana che condanna a vincere e solo a quello. Tutto quello che si può, subito, senza se e senza ma, come se questa eventualità non fosse da conquistare col sudore ma fosse un diritto divino. Nel caso del Napoli, anche un giusto premio alla sofferenza di anni a debita distanza dai lustrini dorati del grande calcio. Il Napoli deve diventare una squadra capace di uscire dal suo piccolo mondo antico di vittima dei padroni. Deve iniziare a sentirsi grande per merito, per imponenza, per grandezza reale.

Per questo deve arrivare sesta in campionato. Per confermare Benitez, per dimostrare di credere in un uomo, nel suo progetto, al di là dei mille episodi che indirizzano una partita, e alla lunga una stagione. Il Napoli deve riuscire ad avere una fiducia più forte delle condizioni a cui questa viene posta, una fede più radicata nelle idee che negli stravolgimenti temporanei che raffazzonano ma non colmano i buchi. Il Napoli deve fare tesoro di questa eccellente prima parte di stagione, per poi buttare tutto all'area, deludere su tutta la linea eppoi dare ad un allenatore che ha le stimmate del vincente la possibilità di riparare ai suoi errori senza l'ansia di un confronto infinito con i numeri. Bisogna sbagliare per correggere e correggersi. Lasciate sbagliare tutti in pace: squadra, allenatore, società. E poi dategli una fiducia reale. Hanno dimostrato che se la meritano, e scommettiamo faranno il possibile per meritarsela. Sul campo, dalla panchina, al mercato.

Date a Benitez una squadra da far rendere e lui la farà rendere. Con idee di campo e non di nervi. Con la testa e il cuore, non solo con quest'ultimo. Col mister spagnolo si stravolgono metodi di gioco e di approccio al pallone, si metabolizza in parte una internazionalizzazione che necessita solo dei campioni veri per essere reale e fare paura a tutti. Con gli Armero, i Britos, i Maggio e gli Dzemaili si fanno dodici (!) punti in Champions e si sta a meno otto dalla Juventus dominante e dominatrice. Scommettiamo che con calciatori più degni di questo titolo questi ottimi risultati diventerebbero eccellenti? Fidatevi di Rafa, fidatevi del Napoli. Siamo certi: non ve ne pentirete.

sabato 7 dicembre 2013

Sorteggi Mondiali: il day after

Il giorno dopo i pensieri sono più puliti, lucidi, non schiavi dell'arrabbiatura o dell'entusiasmo del primo momento. Il giorno dopo i sorteggi Mondiali tutto è deciso ma tutto è anche chiaro e limpido. Eppure, qualcosa continua a non essere chiaro.

Il gruppo degli azzurri - Sarà difficile, per l'Italia. Come se non fosse bastata la stravagante e nuovissima qualifica di squadra non testa di serie, gli azzurri vengono travolti dalla sfiga cosmica e finiscono nell'urna mista. Una manna e una condanna: una manna perché si evitano le teste di serie europee e ci si accoppia con l'Uruguay, una condanna perché ci si affianca necessariamente ad una nazionale della stessa confederazione. La sorte porta in dote la non simpaticissima Inghilterra di Hodgson, squadra sempre temibile ma allergica ai grandi appuntamenti internazionali. L'ultima squadra è la Costarica, sicuramente la più debole del raggruppamento, ma non una squadra materasso in senso stretto, con la sua terza qualificazione mondiale nelle ultime quattro edizioni.

Il bilancio è negativo. Poteva andare anche un po' peggio, ma poteva sicuramente andare meglio. L'Uruguay non è al livello delle grandi potenze mondiali, ma di certo vanta calciatori di livello ed esperienza internazionale in sovrannumero rispetto ad altre teste di serie, vedasi Svizzera e Colombia. L'Inghilterra ha preso il posto di un'eventuale Bosnia, Croazia o Grecia. Passi per il Costarica, ma la sfortuna aveva già colpito Prandelli e soci. Ed inoltre, l'urna era quella che, al massimo, poteva prevedere gli USA come avversari più ostici.

Sarà vera sfortuna? Pensiamo ai corsi e ricorsi storici. l'Italia zoppica nei gruppi facili, si esalta nelle grandi sfide. La nostra avventura iridata racconta di tonfi tremendi in partite abbordabili e di grandi imprese nei momenti dal pronostico avverso. I due ultimi Mondiali, il trionfo del 2006 partendo da un gruppo complicato e la delusione sudafricana in un girone ridicolo, sono solo la conferma più vicina nel tempo ad una teoria delle forze opposte che da sempre fa capo alla nostra nazionale.

Gli altri raggruppamenti - Il sorteggio più strampalato della storia partorisce un Mondiale a metà: subito le grandi sfide che dovrebbero caratterizzare la competizione, ma anche gruppi materasso che in altri momenti storici avrebbero fatto ridere i polli. Il Brasile padrone di casa può ritenersi soddisfatto: ha evitato le europee pericolose pescando la Croazia, ma le squadre "intermedie" sono le ostiche Messico e Camerun, il meglio delle altre due urne. Il problema sorge dopo, con l'incrocio con il gruppo simbolo dell'ingiustizia del Mondiale 2014: nel gruppo B, infatti, si sfideranno le finaliste di Sudafrica 2010. Spagna e Olanda subito contro, con il Cile di Vidal e l'Australia come vittime sacrificali designate. Sorge il sorriso se si pensa al gruppo C, dove si sfideranno nientepocodimenoche le fortissime Colombia, Grecia, Costa d'Avorio e Giappone. Un sospiro di sollievo per Zaccheroni e i suoi samurai, una sconfitta per il calcio. Oltre che per l''Italia, gruppo tosto per la Germania, con Portogallo, Ghana e USA. Buna sorte per l'Argentina, che affronterà Iran, Bosnia e Nigeria. Sorridono, infine, Francia e Belgio: i primi, da non testa di serie, giocheranno contro Svizzera, Ecuador e Honduras. I secondi si giocheranno gli ottavi contro la Russia, l'Algeria e la Sud Korea.

Alzato il sipario, a voi la Coppa del Mondo più bella di sempre. Come già detto e raccontato in queste pagine, il Mondiale brasiliano rappresenta il meglio in chiave scenografica e tecnica. Appuntamento a giugno per sapere se avremo avuto ragione o meno...

Post Scriptum - Abbiamo evitato il tono polemico che ha caratterizzato gli altri, privilegiando un'analisi tecnica del risultato delle urne. Eppure, storciamo il naso. Non tanto per l'Italia, come detto: per la nostra Nazionale, come da ricorsi storici, meglio incrociare le armi con i forti che con i deboli. Siamo perplessi in senso generale, per un regolamento non solo ambiguo e difficilmente condivisibile, ma addirittura cambiato in corsa ad arte. La Francia ha faticato da matti a qualificarsi per aver beccato la Spagna nelle qualificazioni, ma è stata lautamente ricompensata. Dalla sorte? Chissà. Certo, l'idea del sorteggio "tecnico" della nona europea è una furbata regolamentare che sa tanto di aiutino premeditato. Aggiungiamo la "casualità" dei gruppi morbidi per Svizzera (patria del presidente Blatter) e Russia (squadra che più di tutte aveva protestato per i parametri di scelta per le teste di serie, oltreché nazione di fortissime pressioni sul calcio internazionale e prossimo paese ospitante della Coppa), ed ecco aleggiare lo spettro dell'ingiustizia. Ma non è tutto: il meccanismo delle teste di serie ha finito, volente o nolente, per disegnare una griglia di partenza sbilanciata tutta dalla parte di alcuni raggruppamenti. Passi per noi, ripetiamo, pur dall'alto di un secondo posto agli europei vecchio solo di due anni. Ma pensiamo all'Olanda, qualificatasi in carrozza e medaglia d'argento in carica. Affronterà la Spagna Campione nella primissima partita. Abbiamo detto tutto.

martedì 3 dicembre 2013

Napoli-Lazio: il day after

Probabilmente, il Napoli non vincerà lo scudetto. Eppure, al fischio finale di Lazio-Napoli, nell'aria si sentiva un vento diverso, cambiato, svoltato.

Chiariamo: il Napoli di ieri sera è una squadra mediocre, in grado di vincere contro la Lazio e pochi altri. Partita di pessimo livello, zeppa di errori e imprecisioni tecniche. Partita tra due squadre in difficoltà, vicinissime al baratro della stagione già fallimentare e al di sotto dei propri standard, fisici e di gioco. Le nefandezze difensive sono state all'ordine del minuto, e la causa non è tanto da ricercare nel lavoro dei due allenatori, quanto nella bassa qualità (eufemismo) degli interpreti difensivo. Vedasi un Armero perennemente in difficoltà, un Britos fuori fase e gli inguardabili Cana e Ciani.

Nel solco di questa mediocrità, esce vincitore il Napoli. O meglio, escono vincitori i campioni del Napoli. La differenza tra le due squadre è stata nella partita da fuoriclasse di Higuain, nella rinnovata verve di Callejon, nel "meno peggio del solito" di Pandev e nell'impegno a tutto campo di Insigne. Insomma, in quello che ha fatto grandi gli azzurri di inizio stagione e poi è venuto a mancare nelle ultime esibizioni. In quello che è mancato alla Lazio, aggrappata al solo Candreva, abbandonata da Hernanes e troppo spuntata nell'opporre il solo Perea alla rivedibile difesa partenopea.

Il Napoli non ha ancora ripreso a correre: il gioco è ancora mezzo latitante, e c'è da scommetterci che una difesa meno improvvisata di quella laziale avrebbe sicuramente subìto meno delle quattro reti incassate ieri da Marchetti. Eppure, il vento pare cambiato, come dicevamo: perché stanno tornando corsa e dinamismo, perché i palloni lanciati verso Higuain e spizzicati dal Pipita non finiscono nel cestino del campo vuoto, perché c'è un buon appoggio sugli esterni e perché Hamsik prima o poi rientrerà. E si sa che quando lo slovacco gira, si sente una musica molto più melodiosa dei suoni sordi dei giorni senza Marek.

Le sensazioni del day after sono contrastanti. C'è ancora molto da lavorare, c'è ancora parecchia fiducia da riporre nel difficile lavoro di Benitez. Non sarà tutto rose e fiori come ad inizio anno, e le difficoltà aumenteranno sempre più, di pari passo con fatica e adattamento e conoscenze altrui. Eppure, il Napoli ha dimostrato che c'è. E molto probabilmente ci sarà, fino alla fine. Al netto delle fisiologiche giornate storte, al netto di prestazioni al di sotto delle effettive potenzialità, di un'idea di gioco che a volte va a quel paese ma che non smette mai di essere cercata, perseguita, sperimentata.

I grandi progetti richiedono costanza e applicazione per essere realizzati. A volte, fidarsi è bene anche a dispetto del non fidarsi è meglio. A Napoli farebbero bene a pensare che questa volta sia proprio una di quelle buone per smentire i proverbi.

domenica 1 dicembre 2013

La differenza di chiamarsi Juventus

A Natale si è tutti più buoni. E anche se siamo appena al primo dicembre, ecco che l'atmosfera natalizia si impadronisce del campionato di calcio, con tutte le grandi meno una a elargire regali e punti a destra e a manca. Meno una, si diceva. Quella cannibale, quella senza ritegno, cuore, quella che vince con le unghie e con i denti. La Juventus.

Lo si era detto, lo si diceva, si sta verificando. Per un po' c'è stata la Roma a distrarci, ma alla fine non c'è stato verso di cambiare le cose. Questa Juventus, per il nostro calcio, è troppo. Troppo forte, troppo organizzata, troppo affamata, troppo pronta. Troppo italiana. Pregio e limite dei bianconeri, che passano il turno in Champions faticando a bestia e poi centrano il miglior inizio stagione dell'era Conte. Pareggiano con Copenaghen e Galatasaray e poi si ritrovano a più tre sulla Roma e a più nove sul Napoli.Una disfonia di potenza ancora forte, ma che sottende ad un dominio sul calcio nostrano che pare, ad oggi, impossibile da scalzare.

Prendiamo la giornata di campionato ancora in essere: l'Inter si fa recuperare dalla Sampdoria, la Roma prende un punticino solo negli ultimi minuti nella trasferta a Bergamo. La Juventus vince al novantunesimo contro la migliore Udinese della stagione. Soffrendo, tirando per i capelli la partita, e alla fine avendo ragione.

Sta qui la differenza, in una potenza emotiva e di carattere troppo distante dalla titubanze della concorrenza. Merito della fortuna, diranno gufi e maligni. Indubbiamente, aggiungiamo noi neutrali. Che però togliamo il grasso dal prosciutto del tifo e sottolineamo come la fortuna la ottiene chi va a cercarsela, chi cerca di meritarsela. La Juventus è progredita proprio lì dove era necessario progredire, nella qualità e nella prolificità degli uomini offensivi. Le danze stagionali del gol le ha aperte Tevez, poi è toccato a Llorente prendersi il centro dellla scena, in un duetto di gol che fa sentire lontanissimi gli echi della volubilità di Vucinic, degli sfarfallii di Giovinco, delle pur positive esibizioni di Quagliarella. Aggiungiamo a questo enorme dettaglio la crescita esponenziale del mostro Pogba, i recuperi degli infortunati di inizio stagione e la sagacia di un mago della panchina come Conte. Ecco un cocktail perfetto, dalla gradazione troppo alta per una Serie A non in grado di assorbire tanta forza d'urto. E che rimane giustamente indietro.