mercoledì 27 novembre 2013

In difesa di Benitez


Il calcio, soprattutto quello italiano, soffre di una brutta malattia. Lo svilimento dell'idea. E' un morbo difficilissimo da debellare, duro, arcigno, impenetrabile anche a seguito di anni e anni di rigida applicazione mentale, sociale, psicologica.

L'ultimo focolare della patologia è scoppiato a Napoli. Della serie: Benitez non può allenare in Italia, il suo gioco è inconsistente, Higuain è un pacco, Callejon e Albiol sono due morti che camminano, e così via. Una serie infinita di congetture totalmente opposte a quelle che, solo un mese fa, viaggiavano nelle voci di Napoli e dintorni. Certo, gli ultimi risultati sono deludenti. E si sa che chi non vince, nel calcio come nella vita, fa fatica ad avere ragione.

Eppure, bisognerebbe andare oltre. Oltre già nell'analisi degli stessi risultati, da considerare nella loro qualità di numeri totali: sorprendenti, eccezionali, statisticamente i migliori del Napoli di tutti i tempi. Ancora adesso, nonostante il periodaccio in corso. Il miglior inizio di sempre in campionato, una Champions con più punti di Mazzarri due anni fa dopo cinque partite (nove oggi, otto due anni or sono), tanto per gradire. Eppure, c'è chi storce il naso, parlando di risultati deludenti. Se adduce alle ultime partite, figuriamoci. Ha ragione. Ma è vero pure che il Napoli paga solo ora l'inizio a mille, con un calo fisico e tecnico fisiologico, forse inatteso per gravità ma sicuramente preventivabile. Soprattutto in una squadra fondamentalmente nuova, ancora tutta da sgrezzare.

Da qui, la totale inutilità, ottusità e incompetenza delle e nelle critiche a Benitez.Critiche figlie d'amore per la squadra, certo, ma che non rendono giustizia ad un tecnico che ha probabilmente il solo difetto di voler predicare in estetica dove prima si predicava, peraltro efficacemente, in lingue più d'efficacia e di veemenza. Il fioretto al posto della sciabola, una vecchia parabola ancora indigesta al pubblico di Napoli. Un pubblico che rumoreggia per la scarsa qualità del gioco, per la pochezza difensiva, per una esistente e preoccupante involuzione offensiva della squadra.

Visioni soggettive, punti di vista che però sono acuite dalla malattia di cui sopra. Al diavolo ogni cosa, nel nome dei risultati. Del tutto e subito. Cambiamo tutto, finanche il tecnico perchè da un po' a questa parte non si vince. Questa l'idea del popolo azzurro, speranzoso di sorridere per grandi gioie calcistiche. Idea d'amore, ma idea sbagliata. Perchè Benitez ha avviato un lavoro, a Napoli, che sarebbe delittuoso interrompere di botto. Un lavoro di metamorfosi in senso ampio, che vuole avvicinare la squadra, e attraverso di essa il club, alle grandi d'Europa. Con un gioco internazionale ed internazionalizzato, nuovo per questi lidi. Attraverso un modo di scendere in campo che passa necessariamente dalla forza degli interpreti, dalla loro classe, dalla loro forma.

Il Napoli di oggi, quello che oggi arranca, che si è un attimo seduto dopo un inizio sfolgorante, paga non tanto un allenatore sbagliato, ma un lavoro di conversione non ancora digerito e forse non totalmente digeribile da parte dell'organico. Non per cattiva volontà, ma per inadeguatezza tecnica. Pensiamoci: il Napoli che vinceva aveva in campo il miglior Hamsik, un ottimo Higuain, uno splendente Callejon, più Mertens, Zuniga, Behrami, Inler e Reina. Il grigio Napoli di oggi paga il calo dei suoi fuoriclasse, i loro acciacchi e soprattutto l'inadeguatezza di coloro che sono stati chiamati ai galloni di titolari per sopperire alle assenze altrui. Avvaloriamo questa tesi? Nel naufragio generale di Dortmund, i peggiori sono stati gli impresentabili Armero e Pandev, vice-Hamsik e vice-Zuniga della rosa azzurra. Se a questo aggiungiamo lune traverse di Higuain e disattenzioni difensive inevitabili per chi, come il Napoli, è in piena fase di reload totale del modo di giocare e manca di una difesa di riconosciuto valore internazionale, la somma porta a spiegare il momento di difficoltà azzurro.

Colpe di Benitez? Poche. Al massimo si può ascrivere al tecnico castigliano un'eccessiva fedeltà ad un modulo non sostenibile da questi interpreti. Ma non per questo tutto è stato ed è sbagliato, ed i numeri sono lì a dimostrarlo. Se poi siete malati anche voi di svilimento dell'idea, allora lapidate finchè siete in tempo. La fiducia non fa parte del corredo genetico di questa malattia, non è colpa vostra. Noi che non abbiamo ancora contratto il vibrione, difendiamo questa rarissima merce.

Non vogliamo sia a tempo indeterminato. Impossibile, oltreché miope. Ma che almeno sia temporizzata su tempi non malati, e perciò non istantanei e istantaneamente disfattisti. Chiediamo tanto? Al nostro protetto/difeso Benitez, ai suoi risultati e al suo calcio l'ardua, unica, incontrovertibile sentenza.

martedì 26 novembre 2013

Viva l'Italia

La Roma ha pareggiato col Cagliari, ieri sera. Zero a zero, terzo pareggio consecutivo e vetta abbandonata dopo due mesi e rotti di dominio incontrastato.

Che cosa strana, che anomalia. Che cosa bella, aggiungiamo noi.

Pensiamoci: in quale altro campionato europeo, la squadra che ha vinto le prime dieci partite consecutive potrebbe inciampare in tre segni ics consecutivi? E soprattutto, quale top club europeo potrebbe ritrovarsi con due punti in più al termine del doppio turno casalingo contro Sassuolo e Cagliari?

Esatto, la risposta è "Nessuna". Proprio ieri Bruno Longhi, su Sportmediaset (un clic qui per chi volesse curiosare), ha esaltato il livellamento, l'equilibrio e la difficoltà del nostro campionato, sottolineando anche come solo in Italia le grandi squadre debbano far fronte alle tossine della Serie A nei lori impegni  europei. Non è raro, infatti, vedere un club italico zoppicare contro squadre non trascendentali, e l'esempio della Juventus cannibale in Italia e bestiolina in Europa contro i vari Copenaghen, Galatasaray e Nordjsaelland è probabilmente il più esplicativo. Tacciamo poi, per pudore, i pessimi risultati delle nostre in Europa League, competizione che ci vede assenti in finale dal 1999 e in semifinale dal lontano 2008.

I commenti di tifosi ed addetti ai lavori a questa tesi sono variegati, orientati in mille modi. Il livellamento è verso il basso, il nostro campionato è il più tattico o difensivo, la Serie A è più povera, si gioca male e le grandi squadre soffrono per questo.

Eppure, confrontiamo i risultati dell'ultimo week-end: in Italia la vittoria "normale" di una Juve tornata grande in quel di Livorno, un umanissimo zero a due. Poi, il mezzo passo falso della Roma e l'inopinata sconfitta interna del Napoli col Parma. Il pareggio del Milan col Genoa e dell'Inter al Bologna sono il corollario, le non eccezioni che confermano le regole.

Fuori Italia, invece, robe così: Man City-Tottenham 6-0, West Ham-Chelsea 0-3, Atletico Madrid-Getafe 7-0, Almeria-Real Madrid 0-5, Barcellona-Granada 4-0, Reims-PSG 0-3. La dittatura dei Top Club, con relativo azzeramento di avversari impossibilitati a replicare.

Il nostro livello pallonaio sarà anche in picchiata, le nostre squadre giocheranno anche male e faranno figure barbine in Europa. Ma se l'eventuale contrappasso del cambiamento dovesse essere un campionato con questi crismi, con questi risultati e queste infinite distanze tra prime e ultime, non siamo sicuri di volerci auspicare un cambiamento. Mettersi al sabato e alla domenica davanti alla televisione a guardare le partite senza sapere come va a finire, per noi, vale ancora di più. Anche perché poi, anche se con un po' di stanchezza in più e qualche possibilità di vincere in meno, anche di mercoledì ce la giochiamo. Se voi preferite i film col finale, già raccontato, liberissimi. Almeno noi, col pallone, ci divertiamo tutti e per tutte le partite.

Viva l'Italia, diceva De Gregori. Viva l'Italia del calcio, aggiungiamo noi. Alla faccia del disfattismo.

domenica 24 novembre 2013

Napoli-Parma: il commento

L'Italia, alias né Spagna e né Inghilterra. In una accezione geografico-calcistica, ecco le difficoltà del Napoli visto ieri sera contro il Parma. Il peggior Napoli della stagione contro un Parma organizzatissimo in difesa e pronto a ripartire, come nella miglior tradizione italiana.

Il sorprendente risultato finale è meritato, giustissimo: Donadoni ha dato scacco matto a Benitez lasciando sguarnito il centro dell'attacco, togliendo punti di riferimento offensivi e confidando nella capacità di Cassano di portarsi via almeno due uomini. Lo spazio lasciato agli inserimenti dei vari Sansone, Biabiany e Parolo ha fatto in modo, sin dai primissimi minuti, che ad ogni ripartenza parmense il Napoli desse l'impressione di essere pronto a capitolare. Dall'altra parte del campo, invece, sensazioni antitetiche, diametralmente opposte. Gli azzurri facevano una fatica infernale già solo a superare il centrocampo di Donadoni, figurarsi la difesa. Doppia mandata nella serratura difensiva, velocità e corsa le armi nelle controffensive orchestrate dal piede educato di Cassano. In due frasi semplici, la disfatta azzurra.

La prima sconfitta allarmante della gestione Benitez sottolinea il limite principale del tecnico spagnolo. Non tanto l'integralismo sul modulo, quanto la necessità che questo sistema di gioco poggi su una condizione fisica e mentale perfetta dei giocatori migliori. Pensiamoci: il Napoli ha vinto nove partite di campionato, soffrendo raramente e trovando quasi sempre la via della rete. Nelle prime giornate Hamsik, poi Higuain e Callejon a sfondare le difese con giocate di alta classe. E se questi tre, come ieri sera, non rendono al massimo? Se incappano in una serata storta, un po' per demeriti propri, un po' fisiologicamente e un po' per la perfetta organizzazione degli avversari? Luce spenta, sconfitta ineluttabile. Ecco il grande problema del Napoli, il problema di Benitez nell'approcciarsi al calcio italiano. I guai cominciano quando i grandi calciatori, per un motivo o per un altro, non riescono a spaccare la partita. Otto uomini dietro la linea della palla sono un must per il calcio italiano, e divengono insuperabili se i calciatori più forti non riescono ad esprimersi al massimo delle loro possibilità.

E qui torniamo all'inizio del pezzo: l'Italia non è la Spagna, non è l'Inghilterra. E' un paese calcisticamente infame, dove non ti viene perdonato niente e dove anche i più piccoli, Sassuolo docet, possono ingarbugliarti i pensieri e il modo di giocare. Difendersi a spada tratta non è disonorevole a queste latitudini, e se i fuoriclasse latitano e il tuo gioco sottende solo alle loro lune, tutto il gaudio fa presto a trasformarsi in lacrime. Benitez se ne era già accorto con l'Inter tre anni fa. Caro Don Rafè, fai in modo di non dovertene accorgere ancora...

mercoledì 20 novembre 2013

Il Mondiale più bello di sempre

Sarà che gli dei del calcio sono sensibili ai paesaggi da copertina, alla sabbia bianca di Copacabana, alle forme delle donne do Brasil. Oppure, molto più semplicemente, hanno voluto rendere giustizia alla patria del calcio più bello del mondo, alla casa del futbol bailado, ai ritmi cadenzati del ballo pallonaro più bello dell'universo. Fatto sta che tra pochi mesi assisteremo al Mondiale più bello di sempre, alla Coppa del Mondo più difficile, indecifrabile e perciò attesa di tutti i tempi.

I motivi che fanno pensare ad una grande kermesse sono da rintracciare, in primis, nella rosa delle partecipanti. Molti operatori del settore hanno sempre criticato l'ingordigia tipica blatteriana, causa dell'ingrandimento sproporzionato del Mondiale fino a trentadue squadre. Eppure, oggi, proprio questa disponibilità di posti ha dato la possibilità a tutte le più grandi squadre del pianeta di presentarsi ai nastri di partenza della Coppa. Pensiamoci: tutte le nazionali campioni del mondo (Uruguay, Italia, Germania, il Brasile padrone di casa, l'Inghilterra, l'Argentina, la Francia e la Spagna) e gli eterni secondi olandesi. Ovvero, il meglio del meglio per tradizioni e blasone. In più, tutte le migliori rappresentative emergenti: la fortissima Colombia, il Belgio dei giovani fenomeni, la Russia di Capello, il Portogallo di Cristiano Ronaldo e il Cile di Vidal. La creme del pallone al gran completo, già di per sé bastante a disegnare un Mondiale da sogno. Eppure, non è ancora tutto. Mai come quest'anno, infatti, la qualità media delle squadre qualificate è così elevata, equilibrata, livellata verso l'alto: basti pensare all'unica nazionale esordiente, la Bosnia, ovvero un concentrato di talento e gioventù tutto da sgrezzare nel catino bollente degli stadi brasiliani.

Il resto è tutt'altro che ornamento: le africane rappresentano il meglio del continente nero (il Camerun di Eto'O, la Costa d'Avorio di Drogba e il Ghana di Muntari e Boateng oltre a Nigeria e Algeria), il Giappone di Zaccheroni e l'Australia guidano la pattuglia asiatica, mentre il Messico e i progrediti USA rappresentano il nord delle Americhe. Un parterre ricco di stelle di prima grandezza, con un solo assente illustre (Zlatan Ibrahimovic, buttato fuori agli spareggi dal mostruoso Cristiano Ronaldo) tra i calciatori e zero defezioni tra le grandi rappresentative, per un Mondiale grandi firme e veramente capace di portare tutto il meglio dell'intero planisfero calcistico.

Il sorteggio è fissato per il prossimo sei dicembre. Lo scellerato regolamento delle teste di serie, con Colombia, Belgio e addirittura Svizzera in prima fascia, potrebbe subito disegnare gironi di ferro con due grandi squadre contro. Un peccato veniale che mai come in questo caso rende però giustizia ad una competitività finalmente all'altezza del titolo messo in palio, quel titolo Mondiale che mai come stavolta designerà davvero i Campioni del Mondo. Perchè quello brasiliano si appresta ad essere il Mondiale più bello di sempre.  

giovedì 14 novembre 2013

Serie A: il pagellino della sosta

La sosta novembrina del campionato è il momento migliore per il primo mini-bilancio della stagione calcistica: il meglio ed il peggio della nostra Serie A in una vera e propria pagella scolastica. Squadra per squadra, voti e brevi giudizi alla prima parte di stagione delle grandi della Serie A.

In ordine di classifica.

Roma: Voto 9

Garcia rulez. Una squadra praticamente rinata dalle sue ceneri, grazie al lavoro lineare, serio e non esasperante del tecnico francese. L'incredibile serie iniziale è stata sporcata dai due fisiologici pareggi con Toro e Sassuolo, e il distacco è minimo solo per gli altrettanto grandi inizi di Juventus e Napoli. Gioco classico ma redditizio, grande rendimento per Totti, Gervinho, Pjanic e l'intera difesa. Borriello e  De Rossi le riscoperte ad altissimo livello, un peccato gli infortuni che hanno un po' azzoppato le ultime versioni del finto tridente in attacco. Sicuramente lotterà fino alla fine per le primissime posizioni.

Juventus: Voto 8

Nonostante il solo punto di ritardo, voto non scintillante per Conte e soci, soprattutto a causa del rendimento non eccelso offerto in Champions. Certo, le possibilità di passare il turno sono alte, ma negli occhi restano le difficoltà avute con Copenaghen e Galatasaray. Il doppio confronto col Real Madrid ha ridato vitalità e mordente ad una squadra apparsa talvolta priva della consueta ferocia agonistica. La fastosa vittoria col Napoli segna il definitivo ritorno ad una normalità che può solo impaurire gli altri rivali in chiave scudetto. Tra i giocatori, bene Tevez e Llorente, quest'ultimo attardato da un inserimento non semplice. Altalenante Buffon, benissimo Pogba, clamoroso assente ingiustificato il quasi dimenticato Marchisio.

Napoli: Voto 8

L'approccio nei big match come unica, pesante nota negativa. Zero gol fatti contro Roma, Arsenal e Juventus rappresentano il vero limite di una squadra che pare soffrire troppo gli impegni di rilievo. La causa va ricercata, forse, nell'inesperienza di alcune pedine chiave (vedasi Hamsik, Callejon, Insigne) in occasioni di prestigio da vivere come protagonisti e in un livello qualitativo dell'organico ancora troppo sbilanciato in avanti, con una difesa ancora non alla pari della batteria offensiva. Per il resto, inizio roseo: il modulo e la mentalità internazionale di Benitez leniscono la ferita-Cavani, il gioco ha nuovi sbocchi e attecchisce anche ad un campionato duro come la nostra Serie A. Il terzo posto a quattro punti dalla vetta è un buon viatico per una stagione da protagonisti, a patto che la squadra venga rinforzata in Gennaio. Senza nuovi arrivi, destino da comprimari, seppur di alto livello. Tra i calciatori, bene Higuain nonostante gli acciacchi e strepitoso inserimento di Mertens.

Inter: Voto 7.5

Mazzarri superstar nella Milano nerazzurra. L'ex tecnico azzurro riesce a cavare ragni dai buchi nonostante l'instabile atmosfera di sconquasso societario del club meneghino, restituendo al popolo interista un minimo di credibilità tecnica e di ambizioni. La ricetta? Un'identità di gioco precisa, lineare, coerente. Alla base il recupero mentale, poi fisico di una squadra allo sbando. Poi, il classico impianto a tre difensori fissi, un must per il tecnico livornese. I risultati sono tipici e tipicamente buoni, seppur con qualche intoppo di troppo contro squadre non eccelse (vedasi le gare di Bergamo, nella Torino granata e lo stesso due a zero casalingo, opaco anzichè no, contro il Livorno). Classifica giusta, squadra in crescita e destinata ad un futuro sicuramente indonesiano, si spera non scriteriato in società come da qualche anno a questa parte. Tra i calciatori, un plauso al solito Palacio, al redivivo Ricky Alvarez, agli scoppiettanti Nagatomo e Campagnaro. Il recupero di Jonathan, poi, è un capolavoro di ingegneria calcistica. Ma la vera star è lui, il tecnico antipatico che non sbaglia un colpo. Con questa Inter, francamente, non si poteva fare di più.

Fiorentina: Voto 7.5

Probabilmente, il miglior calcio dell'intera Serie A. Non che sia necessariamente un pregio, però. I viola giocano sempre bene a pallone, e a volte sacrificano il risultato in nome di un'estetica che non sempre asseconda la voglia dei tre punti. Vedasi le rimonte interne subite con Parma, Cagliari e (quasi) Sampdoria.  Il percorso di crescita dei viola con Montella in panchina però continua inarrestabile, e passa saggiamente da un'Europa League affrontata con sagacia e voglia di far bene, e che già sa di sedicesimi. Necessario attardarsi un po' in campionato, specie se poi il tuo crack del mercato estivo, Gomez, si rompe dopo pochi minuti di gioco. La classifica non piange, specie dopo il buon filotto messo a segno a seguito dell'incredibile vittoria sulla Juventus, per la felicità dell'ottimo Montella e della società. In campo, straripante ritorno di Pepito Rossi, eccellente avvio di Cuadrado e solito grande contributo di Borja Valero e Rodriguez. Un po' in ombra Aquilani, mentre la scommessa Neto vive ogni gara sul filo dell'intermittenza, a metà tra una grande parata e una papera sempre in agguato.

Lazio: Voto 5.5

Il caso della panchina laziale è stato tale, forse, più sui giornali che nella realtà. Certo, Petkovic non vive nella bambagia come lo scorso anno, ma la situazione non è irreparabile e le colpe non sono proprio tutte sue. Analizziamo: squadra praticamente immutata, con acquisti estivi al momento illustri sconosciuti. Biglia è stato zero, Novaretti è massimo un rincalzo, Anderson è bravo ma ancora acerbo. Il resto è la Lazio di sempre, con un anno in più sulle spalle di Klose, un'altra stagione fuori dal grande giro per un irriconoscibile Hernanes e i soliti noti tra difesa e centrocampo. Lo straripante Candreva, da solo, non può bastare, e la classifica ne risente. Certo, restano una Europa League con qualificazione quasi certa e ancora tante partite da giocare, ma è netto il sentore di una stagione di regressione per una squadra non rinforzata adeguatamente e quindi non più in grado di competere per le prime posizioni.

Milan: voto 4

Ben vi sta, direbbero le nonne antipatiche. Se la gestione vive praticamente di espedienti, senza programmazioni serie e coerenti, i risultati non possono essere altro che questi. L'ultimo calciomercato rossonero? Matri, Kakà, Saponara, Poli, Birsa, Silvestre. Un solo difensore, e che difensore, per una squadra costretta a schierare dietro, con sette Coppecampioni in bacheca, gente come il pur generosissimo Zapata, Mexes, Constant, Zaccardo o Bonera. Quattro giocatori offensivi quando in organico puoi contare su Balotelli, Robinho, El Sharaawy, il pur lungodegente Pazzini, Niang. Una campagna acquisti fatta con i piedi, con un tecnico non più gradito dalla società e incapace di bloccare l'ormai consueta emorragia di infortuni. In più, le beghe societarie tra l'arroganza della Berlusconi family e un Galliani che non può difendersi con risultati che non ci sono. Intanto, è malinconicamente decimo posto rossonero. Così, giusto per ricordarlo.



domenica 10 novembre 2013

Del Piero, Zanetti, Lippi: eccellenze al di là delle bandiere

Alessandro, Javier, Marcello. Per chi come me ha avuto la fortuna e la volontà di crescere a pane e calcio, e ha avuto il piacere temporale di godersi gli ultimi anni novanta e i primi duemila di racconti pallonari, questi tre nomi propri avranno tre cognomi fissi di destinazione.

Il caso ha voluto che il nove novembre del 2013 sia stato il giorno della celebrazione per tutti e tre questi mostri sacri del pallone italiano, tra ricordi malinconici a ciò che è stato e addirittura sguardi ad un futuro prossimo che ancora avrà i tratti inconfondibili delle loro facce. Del Piero, Zanetti, Lippi: la grande Serie A dell'ultimo decennio tutti liofilizzati in una giornata speciale, che ha consacrato, o meglio consacrato nuovamente, ancora, per l'ennesima volta, i loro nomi all'immortalità calcistica.

Da Sidney con furore. Il numero dieci bianconero (lo è ancora, con buona pace di un campione come Tevez) festeggia in campo i suoi trentanove anni. Con la salute, la forza e la voglia di giocare di un ragazzino alle prime armi, che si getta con entusiasmo nella prima grande avventura della carriera. Del resto, la forza di Del Piero è sempre stata quella di anteporre il piacere del gioco a quello delle parole, la gioia del gol a quello di un'intervista, di un tweet o di una ospitata in una trasmissione. Del Piero ha avuto mille vite, come calciatore: quasi tutte nella Juventus, non tutte bellissime, ma nessuna insignificante o dimenticabile. Ma soprattutto, nessuna per cui qualcuno abbia potuto criticare l'uomo oltreché il calciatore. Del Piero ha diviso come puro rendimento calcistico, ma ha sempre unito come talento, come arte applicata alla sfera di cuoio, e soprattutto come umanità inoculata del calcio. E chi rinnega e ha criticato, o critica ancora a prescindere, a distanza di anni, o specula, ha due identikit precisi: o non capisce nulla di calcio oppure mente spudoratamente.

Welcome Back, Pupi. Bianconero Del Piero, nerazzurro Zanetti. E non parliamo di appartenenza ad una gamma di colori, ma proprio di una definizione cromatica. Come il rosso Bologna, il verde smeraldo e via discorrendo. Se Del Piero rappresenta il bianconero per eccellenza, Zanetti è il contraltare interista. Ieri è rientrato, dopo la rottura del tendine di Achille. Per lui, sei mesi e rotti di stop. Tutto nella norma, pensano gli ignoranti: un brutto ma naturale infortunio per un calciatore, e un tempo giusto per un rientro difficile dopo un'operazione. Il problema è che il lungodegente, cari signori, ha quarant'anni suonati, compiuti lo scorso agosto. Eppure ieri sera è rientrato in campo, in un commovente coro di applausi e cori. Perchè ci ha creduto fin dal primo momento, perchè non ha voluto ascoltare i catastrofisti, gli infedeli, i falchi della "carriera finita". Perchè lui è l'Inter, la sente troppo addosso, e non poteva salutare una carriera da favola in un modo così traumatico e in un momento così delicato per la storia nerazzurra. Javier è tornato perchè sente di poter dare ed essere ancora tanto. Ed è quasi certo che tra nerazzurri e non, siano in pochi, in Italia, ad essere così miopi e stupidi a non applaudire ammirati a questa incredibile fiaba.

欢呼, Marcello. Internet mi segnala che quei due sgorbi vogliono dire "bravo". L'unica parola meritata da un allenatore indubbiamente antipatico, arrogante, pienissimo di sé, ma anche eccezionalmente dotato. L'impresa è di quelle non da poco, di quelle che fanno entrare dritti nei libri di storia del calcio. Marcello Lippi da Viareggio è il primo allenatore di sempre capace di portare a casa due Coppecampioni, o Champions League che dir si voglia, in due continenti diversi. Se il volo in Cina di un anno fa poteva sembrare una dorata, strapagata ed esotica pratica di prepensionamento, le vittorie in serie colte dal suo Guangzhou rappresentano l'ennesima conferma della fama meritata di vincenti dei nostri mister all'estero. Dopo le vittorie in bianconero e, soprattutto, il Mondiale di Berlino del 2006, Marcello ha saputo mettere da parte le delusioni sudafricane e ripartire dove nessuno avrebbe nemmeno pensato di mettere piede. E ha avuto ancora ragione lui, entrando di diritto nel guinness dei primati di uno sport affrontato da sempre con le stimmate del vincente.

Tre uomini, tre carriere da sogno. Ma soprattutto, tre storie che sopravanzano le divisioni di bandiera e uniscono tutti gli amanti del calcio in un coro di applausi a cui è impossibile non partecipare. Questo tipo di eccellenze sono da celebrare al di là delle sterili discussioni di bandiera o campanilismo tipiche del DNA di noi italiani. Proviamoci, almeno con loro.

venerdì 8 novembre 2013

Reveillere, e il Napoli fa sul serio...

Non troverete, in questo post, alcuna disamina tecnica e statistica sul Reveillere calciatore. L'ex bandiera del Lione, sbolognata per raggiunti limiti di età dalla squadra del presidente Aulas, arriva a Napoli come toppa momentanea alla carestia (indotta dal fato avverso, dagli infortuni) di terzini tra Castelvolturno e dintorni. E già questo dovrebbe bastare a far sì che competenti e tecnici non facciano corse al dare fiato alle trombe sui perchè e i per come dell'acquisto del giocatore.

L'arrivo a Napoli di Reveillere è una dimostrazione chiara, precisa, completa ed efficace di serietà e volontà, da parte del club, di credere nel proprio progetto e nel lavoro del proprio allenatore. Per carità, esistono terzini migliori, nel mondo, già anche nel campionato italiano o nello stesso organico degli azzurri. Eppure, domanda: quando mai il Napoli ha avuto la celerità di incerottarsi subito con un acquisto al volo per un'improvvisa mancanza di calciatori? E soprattutto, quando mai queste falle improvvise dell'organico sono state puntellate in tempo reale, tra l'altro con calciatori di comprovata esperienza internazionale?

Mai, esattamente. Passi per il rapporto di odio, amore e ripicche varie tra il presidente De Laurentiis e Mazzarri, passi per la (giustissima, oltremodo condivisibile) idiosincrasia del club nel trasformarsi a stagione in corso, e passi anche per la presunta spilorceria del presidente nell'acquistare calciatori di grido. Al netto di tutto questo, l'operazione-Reveillere è una prima assoluta, una perla di mercato, peraltro di discreta qualità. E dimostra che gli azzurri ci credono, vogliono crederci e non lasceranno nulla di intentato, tra campo, scrivanie e box mercato, nella corsa che porta alla gloria di primavera. In Italia come in Europa. Il Napoli rischiava di presentarsi dopo la sosta, ovvero nel momento clou della stagione-Champions e nel bel mezzo del ciclo terribile che porterà all'anno nuovo, con soli due terzini, entrambi tra l'altro con spiccate caratteristiche offensive. E invece, ecco subito un calciatore in grado di coprire le fasce con il giusto equilibrio difensivo, reduce da un decennio di esperienze in Europa e immediatamente abile ed arruolabile.

Applausi, dunque, innanzitutto all'intervento immediato, salvifico del club. Poi a Benitez, responsabile unico di un cambio di mentalità totale all'interno della squadra, capace di trasformarsi da agguerrita armata brancaleone tipica della miglior provincia calcistica italica in club moderno, modello, apprezzato ed apprezzabile per gioco, serietà comunicativa e appeal mediatico in tutta Europa.

Reveillere potrà anche giocare malissimo, da qui alla fine dei tempi. Eppure, il Napoli ci ha provato, facendo improvvisamente tornar diritto il naso a chi lo storceva e reclamava la necessità di interventi sul mercato di gennaio. Hanno fatto di più, a Castelvolturno, intervenendo anche prima. E poi, vuoi vedere che l'antipasto-Reveillere possa fare solo da apripista ad un succulento piatto grande a gennaio?

mercoledì 6 novembre 2013

Napoli-Marsiglia: il commento

I tre punti e Higuain. In mezzo, tante, forse troppe cose che non sono andate per il meglio. E, forse, troppa Juventus nella testa. In  quella dei calciatori, parsi a volte svogliati, abulici, disattenti. E in quella del tecnico, che ha commesso il delitto perfetto di lasciare in panchina un Hamsik in gran spolvero per dare ad un inguardabile Pandev una chance forse troppo avventata. Eppure, potere della fortuna e della classe, il Napoli fa fagotto e si prende i tre punti più importanti della sua Champions, riscoprendo il miglior Higuain e presentandosi alla vigilia del match di Torino con una situazione-qualificazione sicuramente non semplice, ma non certo utopica, alla luce anche della vittoria dell'Arsenal in casa del Borussia Dortmund.

La partita si è aperta malissimo. Non tanto per l'episodio del gol del Marsiglia, un infortunio difensivo su azione da corner che può capitare praticamente a chiunque, ma per le difficoltà che questo episodio ha improvvisamente insinuato nella partita. Il Napoli, con l'immediata occasionissima fallita da Mertens ha subito ribadito che questo OM era, se non poca cosa, in ogni caso facilmente domabile. Eppure, è andato sotto. La reazione è stata di puro carattere, con due gol belli nella fattura e nella conclusione ma nati da azioni non manovrate, non da Napoli di Benitez. Altro fatto inconsueto da sottolineare. Da lì, primo tempo condotto in porto in surplace, senza accelerare. Altra cosa non da Napoli: il secondo tempo è iniziato sulla falsariga del primo, con un Marsiglia però conscio della serata non eccezionale degli azzurri. E pochissimo, ai francesi, è bastato per mettere alle corde gli azzurri, che hanno concesso una lunga serie di occasioni prima di suicidarsi con un Armero quasi comico nel concedere all'ottimo Thauvin il gol del pari.

Giusto dazio per un Napoli molto al di sotto del suo standard, poco intenso e scarsamente concentrato. Giusto dazio per una squadra costretta a inseguire un gol vittoria necessario per sperare negli ottavi di finale. Hamsik entra e cambia il Napoli, se non nella sostanza, almeno nella presenza e nel peso del gioco sulla trequarti. La friabile difesa francese cede quasi subito alla rinnovata pressione azzurra, che trova l'appunto-doppietta di Pipita Higuain dopo l'ennesima ottima giocata di Mertens. Il gol cambia la partita, rigettando l'OM in avanti e ricacciando il Napoli a difesa di un risultato d'oro. Stavolta, la difesa arruffona della serata non cigola, e gli azzurri, con patemi minimi, arrivano al novantesimo con la vittoria.

La vittoria, e poco altro, quindi. Eppure, va bene così. In primis, perchè la gara si era messa male e si sa che le vittorie colte in questo modo sono quelle più belle, più ricordate, più psicologicamente importanti. In secundis, perchè si sentiva nell'aria un profumo di Juve-Napoli troppo forte per essere ignorato, e presentarsi a Torino con una vittoria è tanta roba, specie se accompagnata da un sostanziale turnover. Nonostante tutto, le sensazioni puramente tattiche e di gioco sono non espressamente positive. Il pilota automatico inserito all'inizio della ripresa è stato eccessivamente precoce, e non tutte le difese sono mediocri come quella dell'OM. La voglia di risparmiare energie e calciatori in vista della sfida di Torino poteva costare e stava costando troppo al Napoli poco concentrato visto contro l'OM, ma la classe degli interpreti a volte basta a sopperire alle mancanze di gioco. Buon per il Napoli, stasera. Ma bisogna ripartire dalla convinzione che non sempre, soprattutto al netto della fortuna, solo questa classe, per quanto di altissimo livello, possa bastare. Non tutti sono il Marsiglia, e scommettiamo che già sabato a Torino il Napoli si accorgerà della differenza?

martedì 5 novembre 2013

Juventus-Real Madrid: il commento

Il risultato è l'ultimo dato che analizzeremo. La notizia dell'incredibile vittoria del Copenaghen contro il Galatasaray crea un paradosso in piena regola, con una Juventus felicissima di essere orgogliosa ultima del girone e pienamente soddisfatta del pareggio. Ci concentreremo su disquisizioni puramente tecniche e tattiche, non potendo però prescindere dall'altissimo impatto emozionale e di atmosfera provate allo Stadium.

La Juventus ha dimostrato, per la seconda volta, di non essere inferiore ai Blancos. A livello di gioco, di grinta, di capacità agonistica, le due squadre sono apparse a pari merito nel contesto totale dei centottanta di gioco. La differenza sta nella qualità dell'interprete singolo, ancora immensamente più alta negli undici in maglia Real. Basti pensare al primo tempo perfetto della Juventus: gara accorta, squadra corta ed organizzata, compatta, grintosa come ai bei tempi e capace di mordere i campioni madridisti a tutto campo. Palese anche la superiorità del collettivo bianconero, che ha automatismi meno freschi di vernice e riesce a chiudere all'angolo per tutta la prima frazione la truppa di Ancelotti. Eppure, non si va oltre l'uno a zero: la Juventus, al massimo del suo fulgore, segna un misero golletto, tra l'altro su (sacrosanto) rigore, e chiude il miglior primo tempo della sua stagione con il minimo vantaggio.

Ma non solo: apriamo lo scrigno degli "Sliding Doors" e immaginiamo la partita senza il grossolano errore del peraltro generosissimo Caceres. Sarebbe finita così? La risposta, probabilmente, è sì. Comunque, in ogni caso. Perchè l'errore di Caceres rientra nella normalità di un essere umano. Non è umana, ma da grandissimi campioni, la capacità del Real di approfittare cinicamente del minimo spiraglio, con un Ronaldo che non sbaglia mai e una squadra che annusa l'aria buona e gira la partita. Qua sta la differenza. La traversa di Xabi Alonso (trema ancora), la saetta di Bale. Tutto in pochi vertiginosi secondi. In un lampo, la miglior Juventus di questa Champions si ritrova immediatamente sotto, pur senza meritarlo. I famosi top player, che nel calcio di oggi valgono come se non più del gioco di squadra, cambiano la partita e sovvertono i meriti, come una raccomandazione in un concorso pubblico.

Ora, il gol di Llorente rientra nel normale algoritmo della giustizia divina, perchè un'altra sconfitta, per questa Juventus, sarebbe stata davvero troppo. Ma il sentore è quello della miglior squadra italiana ancora troppo distante da un album di figurine di mostri che diverranno forti come, se non di più, degli altri titani in maglia Bayern o Barcellona, Chelsea, PSG o Man Utd. Ancelotti ha per le mani una bomba pronta a deflagrare. Sta solo a lui capire come sfruttarla per il meglio e lanciarsi in maniera convinta verso la Decima. 

Discorso classifica e qualificazione: Braaten fa un regalo clamoroso a Conte,  con un gol che vale quasi un ottavo di finale. Il Real è già primo pareggiando col Galatasaray al Bernabeu, alla Juventus servirà non perdere in Turchia. Dando ovviamente per scontata la vittoria casalinga col Copenaghen. Non sarà facile, ma ora la situazione è meno nera. Un po' di rammarico per l'occasione di una vittoria col Real non ancora alla portata, ma di certo non utopica e comunque accarezzata: si poteva essere a cinque punti, con la possibilità di trasformare Galatasaray-Juventus in un'amichevole. Per il resto, tutto in cascina: saranno anche ultimi, i bianconeri, ma ora il fieno da mangiare per la qualificazione risulta un attimino meno indigesto.

domenica 3 novembre 2013

Napoli-Catania: il commento

Un'analisi superficiale, che parta dal mero risultato per sviscerare questo Napoli-Catania, risulterebbe ingannevole fin dallo startup. Il due a uno, difatti, è risultato a dir poco riduttivo per quanto visto in campo ieri sera al San Paolo. Venti minuti da top club, trenta secondi di sbandamento difensivo e altri settanta e rotti giri di lancetta di perfetto controllo sul match, con almeno cinque palle gol malamente cestinate: in estrema sintesi, gli azzurri visti ieri col Catania.

Il Napoli è parso in forma, brillante, organizzato, bravo come al solito nel trovare subito il gol e scongiurare la gara di sole barricate degli ospiti di turno del San Paolo. Una delle più belle partite interne, per la truppa di Benitez. Ciò che però colpisce è la grande intelligenza di questa squadra, per l'ennesima volta capace di portare a casa il massimo risultato con uno sforzo, se non minimo, almeno commisurato ed in proporzione alla difficoltà dell'occasione. Non c'è più, probabilmente, il Napoli arrembante e furioso che siamo abituati a conoscere. Esiste ora un Napoli in grado di vincere le partite con la forza della sua classe, con la forza di un gioco di possesso, ripartenze e scambi veloci che sublima le qualità degli uomini offensivi e rende la vita meno apprensiva ai componenti della difesa.

Grande merito a Rafa Benitez, artefice massimo di questa metamorfosi. Ha presentato il suo gioco, ha insistito su questa strada ma ha saputo anche esibire una certa, innegabile elasticità di fondo: il Napoli di oggi esprime il meglio del suo repertorio quando esce palla al piede dalla sua difesa, sfruttando le qualità da contropiedisti di quasi tutti i suoi undici in campo. Il Napoli di oggi è un cocktail quasi perfetto tra un godibile gioco di possesso e una straordinaria capacità di sfruttare in verticale i palloni recuperati dalla difesa. Adattabilità e cocciutaggine: l'ossimoro che si realizza nella galassia-Benitez.

Note dolenti: sarebbe un peccato gettare a mare tutto per la scarsa profondità della rosa. L'infortunio patito ad inizio gara da Mesto ha scoperchiato la falla più clamorosa dell'organico azzurro: quella dei terzini. Con Maggio squalificato e Zuniga lungodegente, i soli Mesto e Armero non sono bastati. L'infortunio dell'ex Reggina ha costretto Benitez a recuperare addirittura Uvini, centrale adattato e autore di una prova comprensibilmente insicura e timorosa. La difesa paga scarsità di uomini e di esperienza, e l'infortunio di Britos, al netto dello stesso, difficilmente ripresentabile Uvini, mette la batteria di centrali nelle stesse condizioni, col solo ed epurato Cannavaro come unico rincalzo. Due mesi al mercato di gennaio. I tifosi devono sperare nella fortuna dei non infortuni, altrimenti molti punti potrebbero essere sacrificati sull'altare di un mercato estivo terribilmente squilibrato in avanti.

Chiudiamo con il Catania, e andiamo controtendenza, contro la classifica e contro le sensazioni più immediate. Questa squadra si salverà, e parliamo a ragione dell'insospettabile coraggio nel venire a Napoli e non fare barricate pure. In questo senso, da segnalare l'ottimo inizio di gara per pressing e capacità di tenere basso il Napoli. Il bellissimo gol di Callejon ha scompaginato i piani di De Canio, il raddoppio è stata una mazzata che avrebbe affossato chiunque. Gli etnei, invece, hanno saputo rialzarsi e rimettere in piedi un discorso dato frettolosamente per chiuso. Non hanno pareggiato per oggettiva inferiorità tecnica, ma per loro fortuna sono poche le squadre forti come il Napoli. L'atteggiamento è quello giusto, mancano un po' di fortuna e ...avversari più abbordabili. Forza e coraggio.