sabato 26 ottobre 2013

Scene da un Clasico

Al fischio finale, è come alzarsi dalla tavola di una domenica napoletana. Sazi, saturi, satolli. Di calcio, non di cibo come nella metafora di paragone, ma la sensazione è comune, è similare. Un'overdose di spettacolo pallonare.

Il risultato al novantesimo dice due a uno per il Barcellona, con tanti cari saluti alla nuova imbattibilità del Madrid (cinque gare senza sconfitte contro gli azulgrana) e un bentornato ad Alexis Sanchez, l'uomo che più di tutti ha goduto della cura di Tata Martino. 

Il verdetto del Camp Nou è chiaro: al momento, il Barça è più squadra. I ragazzi di Martino sono più compatti, giocano d'insieme e fa niente se a livello di gioco siamo ancora sotto il 50% delle reali, immense possibilità della squadra. Il nuovo corso non prevede, o meglio, non prevede solo gli exploit di gioco di possesso cari ai predecessori Guardiola e Vilanova: si professa e si professerà calcio più raziocinante, più concreto, forse meno spettacolare, ma sicuramente più efficace e meno per i fotografi. E' roba diversa: una roba che però, i blaugrana, paiono aver fatto già propria. Siamo ancora all'inizio della corsa, ma i meriti del misconosciuto tecnico argentino sono già sotto gli occhi di tutti: squadra non più stressata dalla doppia esasperante fase possesso-pressing, qualche veronica in meno, qualche verticalizzazione in più. In questo modo, Messi forse gioca meno da solo, duetta e tocchetta senza esagerazioni. Ma la squadra pare averne guadagnato in armonia ed autostima. 

Esatto, proprio autostima: prendete Neymar e Sanchez, i due goleador dell'incontro. Con il vecchio Barça, il giovane fenomeno ex Santos avrebbe mai potuto imporsi così fin da subito? Avrebbe mai potuto sentirsi immediatamente al centro del progetto tattico della squadra, o avrebbe dovuto pagare dazio alla legge-dittatura di Messi e alla necessità di passare per forza da lui nella strada che porta al gol? Chiedere a Ibra. Chiedere, per l'appunto, a Sanchez: il Nino Maravilla ha avuto subito parole al miele per il nuovo allenatore, capace di rigenerare lui a la sua autoconsiderazione. Nonostante la panchina iniziale, l'ex folletto dell'Udinese è entrato e ha regalato al Camp Nou un gol sontuoso, un meraviglioso pallonetto a scavalcare Diego Lopez. Un calciatore privo della necessaria fiducia sarebbe in grado di avere tale impatto in una gara così importante? Esatto, la risposta è no. Bravo Tata: stai riuscendo nell'impresa più difficile. Normalizzare il Barcellona.

Dall'altra parte, il Madrid. Come già sostenuto su queste frequenze, la ciurma di Ancelotti pare tale solo di nome. Il Real di oggi è un'accozzaglia di figurine, al momento priva di quella coesione tattica e d'intenti che fa grande una squadra di calcio. Analizzando la partita, la differenza sostanziale tra le compagini sta proprio qui: il numero di occasioni è quasi pari (il palo colpito da Benzema trema ancora, mentre Valdes si è dimostrato super in almeno un paio di circostanze), ma lo scarto sta proprio nella capacità di gestire d'insieme il momento topico della partita, quello del vantaggio firmato da Neymar. Il Barça ha continuato a giocare tranquillamente, da squadra in senso stretto, mentre il Real è parso assolutamente innocuo nella sua veste senza attaccanti di ruolo. Ancelotti dovrà lavorare molto per trovare la quadratura del cerchio, e la ripresa fatta di sfuriate appena dopo l'inversione tattica conferma una volta di più la necessità merengue di superare l'effetto-Bale (impalpabile, il gallese) e di inquadrare il suo acquisto in un sistema di gioco coerente. Che non può ovviamente prescindere da Ronaldo, ma tantomeno da Benzema o Di Maria.Sta qui il lavoro dell'uomo di Reggiolo: rendere squadra un gruppo ancora non degno di chiamarsi tale. Riuscire, insomma, dove addirittura Mourinho, incredibilmente bruciatosi nella folle corrida di un ambiente da paura, ha fallito. In bocca al lupo, Carletto...

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